Una nuova ondata di paura ha attraversato gli Stati Uniti all’inizio di giugno 2025, quando l’ICE (Immigration and Customs Enforcement) ha lanciato una serie di raid spettacolari e controversi nella città di Los Angeles. Coordinati con altre agenzie federali e forze speciali, i blitz hanno preso di mira quartieri popolari, centri commerciali, fabbriche e luoghi di lavoro, nel nome della “sicurezza nazionale” e del “rispetto della legge”. Ma per molti cittadini, attivisti, sindacati e leader politici locali, ciò che è accaduto va ben oltre la legalità e solleva interrogativi profondi sulla direzione che sta prendendo la democrazia americana.
Cosa è accaduto a Los Angeles
Il 6 giugno, centinaia di agenti ICE e Homeland Security hanno fatto irruzione in più punti strategici della metropoli californiana. Nelle immagini che hanno rapidamente fatto il giro del mondo, si vedono squadre in assetto antisommossa entrare nel Fashion District, nella catena Home Depot e in una fabbrica tessile dove lavoravano decine di operai, molti dei quali di origine latina o indigena.
Secondo diverse testimonianze, le retate sono avvenute senza mandati di perquisizione o arresto, e in numerosi casi anche senza alcuna accusa formale. Decine di persone sono state portate via senza possibilità di comunicare con avvocati o familiari. Alcuni sono stati già deportati nei giorni successivi, tra cui lavoratori di origine messicana e zapoteca, che vivevano da anni negli Stati Uniti senza aver mai avuto precedenti penali.
La risposta della città e dello Stato
La reazione non si è fatta attendere. Il Governatore della California, Gavin Newsom, ha definito l’operazione “una violazione brutale dei diritti civili”, mentre la sindaca di Los Angeles, Karen Bass, ha parlato di “occupazione militare non autorizzata”. A rendere la situazione ancora più esplosiva è stata la decisione del presidente Trump di inviare oltre 4.000 membri della Guardia Nazionale e 700 Marines nella città, senza alcuna richiesta o consenso da parte delle autorità statali. Una mossa senza precedenti dai tempi della crisi del 1965.
Le forze federali hanno iniziato a presidiare strade, incroci, centri logistici e stazioni, alimentando un clima di tensione e sfiducia. In alcuni casi, si sono verificati scontri con la polizia locale e con manifestanti pacifici che denunciavano l’invasione dei loro quartieri.
Le proteste: un Paese in piazza
Nel giro di poche ore, la rabbia ha acceso le piazze. Migliaia di persone sono scese per le strade di Los Angeles, ma anche di New York, Chicago, Atlanta, Seattle, Austin, Boston, Washington D.C., San Francisco e altre 1.800 città in tutto il Paese. Le proteste hanno unito sindacati, movimenti per i diritti dei migranti, gruppi studenteschi, comunità religiose e semplici cittadini. Uno slogan comune: “No more raids. No more fear.”
La maggior parte delle manifestazioni si è svolta in modo pacifico, ma non sono mancati episodi di violenza, gas lacrimogeni, arresti arbitrari e cariche della polizia. A Los Angeles, è stata ferita la scrittrice e attivista trans Jen Richards, colpita da un proiettile di gomma. Tra gli arrestati figura anche David Huerta, storico leader sindacale latino.
Una frattura politica profonda
Il caso ha aperto una nuova, profonda frattura tra governo federale e stati progressisti come la California. Newsom ha firmato una mozione per bloccare legalmente la presenza della Guardia Nazionale, sostenendo che l’operazione viola il principio costituzionale della sovranità statale.
Le organizzazioni per i diritti civili, tra cui l’ACLU, hanno denunciato un abuso sistemico dei poteri dell’esecutivo federale e una pericolosa tendenza alla criminalizzazione delle minoranze. Secondo molti osservatori, non si tratta soltanto di un’escalation repressiva, ma di un chiaro segnale elettorale: in vista delle presidenziali del 2026, Trump sta ricompattando la sua base con azioni spettacolari e polarizzanti
I volti dimenticati
In tutto questo, le storie personali rischiano di passare in secondo piano. Come quella di Lucia, madre single arrestata mentre accompagnava il figlio a scuola. O quella di Ernesto, operaio di 57 anni che lavorava da oltre vent’anni nella stessa fabbrica, senza mai ricevere una multa. Le loro vite sono state spezzate in pochi minuti, in nome di un ordine che molti considerano non più legittimo.
Un Paese che si interroga
Cosa resta oggi dell’America come “terra delle opportunità”? I raid ICE e la militarizzazione delle città pongono una domanda che scuote le fondamenta della nazione: è possibile difendere la legge violando i diritti umani? E chi decide, oggi, dove si trova il confine tra sicurezza e autoritarismo?
Le proteste contro i raid ICE non sono soltanto una battaglia per i migranti. Sono il grido di una società che teme di perdere sé stessa. In gioco non c’è solo il destino di chi viene arrestato senza colpa, ma l’identità stessa di una democrazia che rischia di non riconoscersi più allo specchio.
Kreanews continuerà a seguire da vicino gli sviluppi di questa vicenda, dando voce a chi troppo spesso viene ridotto al silenzio.