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ChatGPT è stato davvero battuto a scacchi da un Atari del 1977?

Un esperimento diventato virale ha rivelato i limiti imprevisti dell’intelligenza artificiale. Quando ChatGPT, il sofisticato modello linguistico di OpenAI, si è confrontato con Video Chess – un rudimentale programma per Atari del 1979 – il risultato è stato una sconfitta imbarazzante per l’IA moderna. L’ingegnere Robert Caruso, autore del test, ha descritto una performance talmente scadente da sembrare quasi paradossale: un sistema che elabora miliardi di parametri non è riuscito a reggere il confronto con un software che occupava meno di 8KB di memoria.

La partita ha messo in luce carenze sorprendenti. ChatGPT confondeva regolarmente i pezzi, scambiando torri con alfieri, non riconosceva schemi tattici elementari e persino la semplice visualizzazione mentale della scacchiera risultava problematica. Errori che un principiante umano avrebbe evitato, sono stati commessi da un sistema che dimostra padronanza del linguaggio scacchistico quando ne discute teoricamente.

La reazione dello stesso ChatGPT alla sconfitta è stata emblematica. Interrogato sull’accaduto, ha inizialmente negato l’evidenza, definendo la notizia “una provocazione ironica”. Solo quando è stato messo alle strette con prove documentali… ha ammesso la sconfitta, giustificandosi con una spiegazione rivelatrice: “Non sono stato progettato per questo”. Questa frase racchiude la chiave per comprendere l’episodio.

La differenza fondamentale risiede nella specializzazione. Video Chess, per quanto primitivo, era stato creato con un unico scopo: giocare a scacchi. ChatGPT, al contrario, è un modello generalista ottimizzato per l’elaborazione del linguaggio naturale. Può discutere di aperture scacchistiche, analizzare partite famose, persino suggerire mosse, ma tutto questo avviene attraverso un processo di simulazione linguistica, non di vero calcolo scacchistico.

L’episodio offre una metafora più ampia sullo stato attuale dell’IA. Sistemi come ChatGPT danno l’impressione di una comprensione generale perché sanno parlare competentemente di quasi tutto, ma questa fluidità linguistica nasconde limiti fondamentali. Come un attore che recita la parte di un grande chirurgo senza avere mai operato, l’IA può simulare la competenza senza possederla realmente.

La lezione più preziosa riguarda forse la nostra percezione della tecnologia. Di fronte a sistemi che parlano in modo così convincente, tendiamo ad attribuire loro capacità più ampie di quelle che realmente possiedono. Questo esperimento ci ricorda che anche le IA più avanzate restano strumenti specializzati, non menti universali. La vera intelligenza artificiale generale, se mai verrà sviluppata, dovrà dimostrare di saper fare, non solo di saper parlare di ciò che fa.

In definitiva, la sconfitta di ChatGPT non ne sminuisce il valore, ma ne precisa la natura. Come uno studioso che conosce la teoria musicale, ma non sa suonare, il modello eccelle nel dominio per cui è stato creato – l’elaborazione del linguaggio – mentre rivela carenze in ambiti che richiedono abilità diverse. Un promemoria utile, in un’epoca in cui tendiamo a sopravvalutare ciò che non comprendiamo appieno.

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