Jane Birkin lo aveva previsto con ironia: “Nei miei necrologi scriveranno «amavamo la borsa» o qualcosa del genere”. Quasi un presagio. Quella battuta oggi suona come un epitaffio perfetto dopo l’asta epocale del 10 luglio 2025 a Parigi, quando il primo prototipo della borsa che porta il suo nome è stato aggiudicato per 8,582 milioni di dollari da un anonimo collezionista giapponese. Una cifra che non solo polverizza ogni precedente record per un accessorio di moda, ma trasforma definitivamente la Birkin da icona fashion a bene collezionistico di altissimo livello.
Il precedente primato – 450.000 dollari per una Birkin Himalaya nel 2022 – appare oggi irrisorio di fronte a questo risultato. Ciò che ha scatenato la battaglia d’offerte non è stata solo l’irripetibilità del pezzo, ma il suo valore storico. Si tratta infatti del prototipo originale realizzato a mano negli anni Ottanta, completo di iniziali “J.B.” incise e di quelle imperfezioni che lo rendono autentico: la tracolla non staccabile, gli anelli metallici chiusi, le dimensioni diverse dagli standard successivi.
A rendere ancora più prezioso questo cimelio sono i segni del tempo volutamente conservati: gli adesivi politici applicati da Jane, il tagliaunghie ancora attaccato all’interno, quelle tracce di usura che testimoniano una borsa vissuta, non musealizzata. Donata nel 1994 a un’asta benefica contro l’AIDS e poi riacquistata nel 2000, ha atteso venticinque anni prima di tornare sul mercato, scatenando una competizione senza precedenti.
La storia della nascita della Birkin è ormai leggenda: quel dialogo casuale su un volo Londra-Parigi tra Jane Birkin e Jean-Louis Dumas, allora presidente di Hermès. L’attrice, frustrata dalle borse poco capienti degli anni Ottanta, aveva addirittura preso l’abitudine di usare una cesta di vimini. Da quel confronto nacque lo schizzo della borsa che avrebbe rivoluzionato il concetto di accessorio di lusso: capiente ma elegante, pratica ma iconica.
Oggi Sotheby’s ne ha certificato l’evoluzione da oggetto d’uso a simbolo culturale. La Birkin è diventata nel tempo un must dei red carpet, uno status symbol senza tempo, un’opera d’arte che unisce design, storia e cultura pop. Un paradosso perfetto per un oggetto nato per essere utilizzato e diventato troppo prezioso per essere usato.
Quel prototipo con i suoi graffi e gli adesivi sbiaditi racconta una verità più profonda: nella moda contemporanea, l’autenticità batte ogni perfezione. Mentre Hermès continua a produrre Birkin con liste d’attesa lunghissime, questa resta l’unica a poter dire di essere stata davvero la prima.
Non senza ironia, lo stesso spirito ribelle di Jane Birkin – che nel 2015 chiese a Hermès di rimuovere il suo nome dai modelli in coccodrillo per protesta contro gli allevamenti intensivi – sembra aleggiare su questo record. Quella borsa nata per essere utile è diventata il simbolo di un’epoca in cui il lusso aveva ancora un’anima, e oggi vale più di un appartamento nel cuore di Parigi. Un testamento perfetto per un’icona che, come la sua musa, ha saputo trasformare il pratico in leggendario.
