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Il caso di Kitty Genovese: quando l’indifferenza può essere mortale

Il caso

E’ la notte del 13 marzo 1946 quando la giovane ventinovenne Catherine Susan Genovese viene brutalmente pugnalata ed uccisa in un vicolo di New York.

La giovane donna parcheggia l’auto a trenta metri da casa sua e nel tragitto viene aggredita dal suo carnefice che, date le urla della vittima, viene messo in fuga e scappa con la sua auto.

Nel frattempo, Kitty cerca e trova riparo nell’androne di un palazzo, dove viene nuovamente intercettata dal suo aggressore ed uccisa.

Ciò che distingue questo caso di cronaca nera dagli altri è che alla scena assistettero 38 persone senza intervenire.

Perché nessuno intervenne?

All’epoca dei fatti, la prima spiegazione fornita fu che il comportamento delle persone presenti era una conseguenza della sempre maggior tendenza all’individualismo della società a discapito della collettività.

Furono in molti gli studiosi a domandarsi se dietro questi mancati soccorsi non ci fosse altro.

In particolare gli psicologi Statunitensi Bibb Latané e John Darley, compirono diversi studi focalizzando la loro attenzione sulla relazione intercorsa in quel momento tra gli “spettatori” e non sul comportamento di ogni singolo individuo.

L’effetto spettatore: gli studi

Latane e Darley analizzarono un campione di studenti universitari che erano a conoscenza di dover svolgere la compilazione di un questionario in una stanza in cui potevano essere soli o in compagnia.

Durante la compilazione del questionario, da un’apertura nella stanza veniva fatto entrare del fumo. L’evidenza di questi studi era il tempo di reazione: il 63% dei ragazzi che svolgeva la prova in solitudine si accorgeva del fumo nel giro di 30 secondi; mentre di quelli che eseguiva il questionario in compagnia, solo il 26% rispettava questa tempistica. Dopo sei minuti, tutti gli studenti vennero fatti spostare in un’altra stanza e gli venne chiesto se avessero visto o meno del fumo e tutti, anche coloro che non avevano dato segno di averlo notato, risposero affermativamente.

Da questo si evince come la presenza di altre persone è in grado di manipolare la percezione dell’esterno e dei fatti in quanto il singolo ha rilevato il pericolo ed è intervenuto senza alcun problema.

Come influisce l’effetto spettatore sul comportamento

Da questo esperimento emergono cinque caratteristiche che vanno ad influenzare gli spettatori:

  • La presenza di un danno durante l’emergenza.
  • Le emergenze sono rare.
  • Il tipo di azione cambia in base alla situazione.
  • Le emergenze sono impreviste.
  • Le emergenze richiedono un’azione immediata.

Sulla base di queste caratteristiche, gli spettatori ne risentono a livello sia cognitivo che comportamentale: capiscono che sta succedendo qualcosa, si rendono conto della gravità della situazione, pensano ad una qualche forma di assistenza e decidono l’azione da svolgere.

Quindi, più informazioni abbiamo e più siamo portati a tendere la mano. Su questo incide l’influenza sociale, ovvero quando baso le mie scelte sulle reazioni degli altri spettatori: se nessuno reagisce allora non reputerò quella situazione una emergenza.

Sulla scelta influisce anche l’ambiguità: con bassa ambiguità le reazioni sono più veloci; con alta ambiguità più lente. Questo dipende dal fatto di essere sicuri o meno che una persona abbia bisogno del nostro aiuto.

Infine, altro elemento condizionante è la coesione sociale, vale a dire, un gruppo di amici oppure una famiglia agirà seguendo un’idea comune.

Latané e Darley, affermano che l’essere umano è influenzato dall’ambiguità della situazione. Quindi, se vediamo qualcuno prestare aiuto siamo più favorevoli a dare anche noi il nostro aiuto. Sul fronte della responsabilità, se crediamo di essere gli unici a poter fare qualcosa, prestiamo il nostro aiuto.

Al contrario, se crediamo che ci siano altre persone pronte ad offrirsi, la nostra propensione ad aiutare diminuisce.

Negli ultimi anni sono stati effettuati altri esperimenti riguardo l’effetto spettatore, sempre tenendo conto degli studi di Latané e Darley. Le conclusioni a cui portano sono simili alle precedenti, ovvero che le decisioni delle persone di aiutare gli altri sono condizionate dal numero di spettatori, ma anche dal livello di conoscenza presente tra loro. Quindi l’effetto spettatore risulta guidato dalla conoscenza che abbiamo degli altri e non solo dal risultare sensibili alla loro presenza o assenza.

Valentina Trotta

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