Di fronte al fuoco incrociato tra Teheran e Tel Aviv, la comunità internazionale invoca la pace, ma tace sulle scelte. Dietro ai comunicati ufficiali, da che parte pende davvero il mondo?
A inizio giugno 2025, l’ennesima escalation tra Iran e Israele ha spinto il Medio Oriente sull’orlo di un nuovo baratro. Missili lanciati, impianti colpiti, blackout informativi e minacce reciproche hanno acceso un conflitto che, seppur a distanza, rischia di incendiare l’intera regione. E mentre i titoli dei media si rincorrono, una domanda s’impone con forza: da quale parte sta il mondo?
L’Occidente: sostegno implicito, mani legate
Negli Stati Uniti, la Casa Bianca ha ribadito il diritto di Israele a difendersi, definendo gli attacchi iraniani “provocazioni inaccettabili”. Ma dietro le parole, Washington resta ferma sulla linea della non-escalation. Non invierà truppe, né interverrà direttamente, a meno di un attacco su larga scala. Una difesa di principio, ma prudente.
In Europa, le posizioni divergono: Germania e Regno Unito appoggiano Israele apertamente, mentre Francia e Spagna invocano un equilibrio che, nei fatti, si traduce in ambiguità diplomatica. L’Unione Europea appare più interessata a evitare nuovi flussi migratori e instabilità economica, che a schierarsi con decisione.
Russia e Cina: amici (interessati) dell’Iran
Se il fronte occidentale appare tiepido, Mosca e Pechino scelgono la cautela strategica. La Russia mantiene con l’Iran una storica alleanza militare, rafforzata dalla cooperazione in Siria e dalle sanzioni condivise con l’Occidente. Tuttavia, il Cremlino non vuole un’escalation che rischi di coinvolgere anche la sua presenza nella regione.
La Cina, primo importatore del petrolio iraniano, lancia appelli alla stabilità e alla pace, ma non condanna Teheran. La sua posizione è dettata da un solo principio: la protezione dei propri interessi energetici e commerciali.
Il mondo arabo: nemico del nemico, ma non alleato
Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi: un tempo acerrimi oppositori di Israele, oggi si muovono con estrema cautela. Se da un lato non possono apertamente sostenere lo Stato ebraico, dall’altro vedono l’Iran sciita come una minaccia comune.
Così, i governi sunniti condannano genericamente la violenza “da entrambe le parti”, ma sotto traccia tifano per l’indebolimento di Teheran. Al contrario, Hezbollah in Libano e gli Houthi in Yemen si dichiarano pronti a unirsi al fronte anti-israeliano, spalancando la porta a un possibile conflitto su più fronti.
ONU: diplomazia paralizzata
Nel palazzo di vetro di New York, il Consiglio di Sicurezza è in stallo. Ogni proposta di risoluzione è bloccata da veti incrociati: gli Stati Uniti difendono Israele, Russia e Cina proteggono l’Iran. Il Segretario Generale lancia appelli accorati, ma nessuna missione di osservazione o iniziativa concreta è partita.
In assenza di una vera leadership diplomatica globale, il mondo osserva e aspetta. Ma aspettare cosa?
Stare dalla parte di chi?
In questa guerra di posizionamenti più che di trincee, la neutralità diventa complicità o, almeno, strategia d’interesse. Ogni attore globale pesa le parole, valuta le alleanze, misura il prezzo del silenzio.
Eppure, il conflitto tra Iran e Israele non è solo una faida regionale. Tocca temi globali: nucleare, stabilità energetica, ridefinizione delle alleanze post-Ucraina, e la credibilità stessa del sistema internazionale.
La domanda resta sospesa, come un missile nel cielo:
Da quale parte sta il mondo?
Forse dalla parte della prudenza, forse da quella del calcolo geopolitico. Ma certamente non da quella della chiarezza.