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Cosa cambia per gli affitti brevi dopo la sentenza del Tar

La recente sentenza del Tar del Lazio del 27 maggio, che ha annullato la circolare del Ministero dell’Interno sull’identificazione degli inquilini, ha riacceso il dibattito sulle regole che disciplinano gli affitti brevi. Se da un lato la pronuncia ha riportato l’attenzione sulle keybox – i dispositivi per lo scambio delle chiavi spesso contestati dai Comuni – dall’altro la situazione normativa rimane complessa, con obblighi precisi per proprietari e gestori.

Anche dopo l’annullamento della circolare, resta fermo l’obbligo previsto dall’articolo 109 del Testo unico di pubblica sicurezza (Tulps), che impone ai locatori di ospitare solo persone con documento d’identità valido e di comunicarne i dati alla questura entro 24 ore dall’arrivo (o entro 6 ore per soggiorni inferiori alle 24 ore). La comunicazione deve avvenire attraverso il portale Alloggiati della Polizia di Stato e riguarda non solo gli affitti brevi, ma anche sublocazioni e strutture ricettive tradizionali.

La circolare annullata dal Tar, emanata nel novembre 2024, vietava il check-in automatizzato, ritenendo insufficiente l’identificazione a distanza degli ospiti. Prima della sentenza, il Ministero dell’Interno aveva però avviato un confronto con gli operatori del settore per valutare l’introduzione di procedure digitali, simili a quelle dello SPID, che consentissero il riconoscimento da remoto. Ora, in attesa di eventuali ricorsi o nuove disposizioni, si torna alla situazione precedente: l’identificazione resta obbligatoria, ma senza l’imposizione del controllo de visu.

Le keybox non sono dunque bandite, ma devono rispettare i limiti già esistenti: ad esempio, non possono essere installate in spazi pubblici, mentre sono ammesse se collocate all’ingresso di un appartamento e utilizzate, ad esempio, dal personale delle pulizie. In ogni caso, la loro presenza non esonera dal dovere di identificare gli ospiti, che molti gestori professionali effettuano già da tempo con strumenti digitali.

Oltre all’identificazione, chi affitta a breve termine deve rispettare altri obblighi. Per i contratti superiori ai 30 giorni (come un affitto stagionale di due mesi), non si applica il regime fiscale agevolato degli affitti brevi, ma è necessaria la registrazione all’Agenzia delle Entrate entro 30 giorni, in formato cartaceo o digitale (obbligatorio per chi possiede più di 10 immobili). In questi casi, la registrazione sostituisce la comunicazione su Alloggiati.

Dal 2 gennaio 2025 diventa obbligatorio il Codice identificativo nazionale (Cin), da richiedere attraverso la Banca dati nazionale delle strutture ricettive (Bdsr) con SPID o CIE. Nelle regioni dove esiste già un Codice identificativo regionale (Cir), occorre prima ottenerlo e poi richiedere il Cin; altrove, si procede direttamente con quest’ultimo. Il codice va esposto all’esterno dell’immobile e indicato in tutti gli annunci, pena sanzioni da 500 a 5.000 euro. Chi affitta senza Cin rischia multe fino a 8.000 euro.

Sempre dal 2025, tutte le case in affitto breve dovranno essere dotate di rilevatori di monossido di carbonio e gas combustibili, oltre a estintori a norma. Il Ministero del Turismo ha precisato che non serve un impianto fisso: bastano dispositivi portatili, purché conformi. Per le attività gestite in forma imprenditoriale, valgono anche ulteriori requisiti di sicurezza previsti da leggi statali e regionali.

Molti Comuni, soprattutto in città turistiche, stanno adottando misure per limitare gli affitti brevi e preservare il patrimonio abitativo. Alcuni hanno vietato le keybox in spazi pubblici, altri hanno introdotto regolamenti edilizi più severi, imponendo superfici minime o il cambio di destinazione d’uso per chi affitta a turisti. Quest’ultima opzione, in particolare, costringe i proprietari a una scelta definitiva tra locazioni brevi e uso abitativo tradizionale, riducendo la flessibilità.

Sul piano fiscale, gli affitti brevi (fino a 30 giorni) beneficiano della cedolare secca, con aliquote del 21% per la prima casa e del 26% per le successive. Se gli immobili affittati sono più di quattro, l’attività è considerata imprenditoriale, con obbligo di partita IVA e adempimenti contabili. I proventi vanno dichiarati nel quadro RL della dichiarazione dei redditi, con la possibilità di scegliere, per ciascun immobile, tra tassazione ordinaria e cedolare secca.

I locatori devono inoltre considerare altre spese, come IMU (tranne per le stanze affittate nella propria abitazione principale), TARI e costi condominiali. Le utenze, invece, sono generalmente a carico del proprietario e non vengono ribaltate sugli ospiti.

La crescente complessità normativa rende sempre più difficile per i privati gestire in autonomia gli affitti brevi. Molti scelgono quindi di rivolgersi a gestori professionali, che si occupano della promozione, del check-in e della manutenzione, trattenendo una percentuale sui canoni. Questa soluzione, sebbene più costosa, permette di conciliare l’affitto turistico con l’uso personale dell’immobile durante l’anno.

In conclusione, nonostante la semplificazione sull’identificazione degli ospiti, il settore degli affitti brevi rimane soggetto a numerosi adempimenti. Chi opera in questo mercato deve tenersi aggiornato su eventuali nuove circolari, sentenze e regolamenti locali, per evitare sanzioni e garantire una gestione conforme alla legge.

Christian Palmieri

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