Accuse di repressione, tagli ai fondi, studenti arrestati: l’accademia americana difende la libertà di pensiero sotto attacco
Negli Stati Uniti, la primavera 2025 è diventata il teatro di una delle più grandi mobilitazioni accademiche degli ultimi decenni. Al centro dello scontro: la libertà di espressione, l’autonomia delle università e la protesta contro la guerra a Gaza.
Tutto inizia con una serie di manifestazioni studentesche scoppiate in decine di campus americani, da Columbia a Yale, da Harvard al MIT, per chiedere il disinvestimento da aziende coinvolte nel conflitto israelo-palestinese e per criticare il sostegno militare degli Stati Uniti a Israele. Gli studenti, in gran parte pacifici, hanno dato vita a accampamenti permanenti, assemblee, marce e sit-in. Ma la risposta del governo è stata durissima.
La reazione di Trump: repressione e minacce economiche
Il presidente Donald Trump ha chiesto un intervento diretto delle università: identificare e punire gli studenti coinvolti, reprimere ogni forma di dissenso e collaborare con le autorità federali. In caso contrario, ha minacciato di sospendere oltre 2 miliardi di dollari in fondi pubblici destinati agli atenei.
In molti casi, l’amministrazione è andata oltre la minaccia:
– alcuni studenti sono stati arrestati e trattenuti dall’ICE, come Mahmoud Khalil della Columbia, che ha perso la nascita del figlio mentre era in custodia;
– altri, come Mohsen Mahdawi, sono stati arrestati durante un colloquio per la cittadinanza americana;
– numerosi studenti stranieri hanno visto revocati i propri visti senza spiegazioni, con il rischio di espulsione.
Harvard rompe il silenzio e guida la rivolta
Di fronte a questa escalation autoritaria, le università non sono rimaste in silenzio. A fare il primo passo è stata Harvard, il più prestigioso ateneo americano, che ha firmato un documento di condanna aperta contro le interferenze politiche del governo.
> “Dobbiamo opporci all’intrusione del potere esecutivo nella vita dei nostri campus. La libertà accademica è la spina dorsale della democrazia”, ha dichiarato il rettore Alan Garber.
In poche ore, oltre 180 università si sono unite all’appello, tra cui Princeton, Yale, Stanford, Brown e MIT. Insieme hanno promosso una causa collettiva per violazione della Costituzione americana, chiedendo il ripristino dei fondi e il rispetto del diritto alla protesta.
Il nodo dell’antisemitismo
Nel pieno delle proteste, Harvard ha dovuto anche affrontare accuse di antisemitismo all’interno del proprio campus. L’università ha riconosciuto la presenza di alcuni episodi isolati, ribadendo però con forza la distinzione tra odio antisemita e critica legittima alle politiche del governo israeliano. Il rettore Alan Garber ha dichiarato che “la libertà di espressione non può essere usata come scudo per l’odio”, ma ha anche sottolineato l’importanza di non censurare il dissenso in una comunità accademica. Harvard ha avviato una task force per monitorare i casi segnalati e garantire che tutte le minoranze, inclusa quella ebraica, si sentano protette. Un equilibrio delicato tra sicurezza, pluralismo e libertà, in un momento in cui ogni parola pesa.
Una nuova era di resistenza civile?
Il clima che si respira nei campus americani ricorda le grandi rivolte del passato, come quelle contro la guerra in Vietnam. Ma questa volta il bersaglio non è solo un conflitto internazionale: è l’autonomia dell’istruzione, la libertà di espressione, il diritto degli studenti di dissentire.
In un’America profondamente polarizzata, le università si pongono ora come baluardo democratico e motore di una resistenza culturale e civile. E Harvard, ancora una volta, è al centro della storia