Il Rapporto AlmaLaurea 2025, presentato presso l’Università di Brescia, offre una fotografia complessa e articolata della condizione occupazionale dei laureati italiani, tracciando un bilancio che mescola segnali incoraggianti a persistenti criticità strutturali. L’analisi, condotta su un campione di 690.000 laureati di 81 atenei italiani, rivela come il mercato del lavoro stia finalmente premiando il titolo di studio superiore, pur continuando a manifestare alcune gravi carenze che minano le prospettive di sviluppo del Paese.
A un anno dal conseguimento del titolo, il tasso di occupazione ha raggiunto nel 2024 il 78,6%, valore identico sia per i laureati triennali che magistrali e rappresenta il miglior risultato dell’ultimo decennio. Rispetto all’anno precedente, si registra un incremento di 4,5 punti percentuali per i laureati di primo livello e di 2,9 punti per quelli di secondo livello.
La prospettiva a più lungo termine conferma questa tendenza positiva: a cinque anni dalla laurea lavora il 92,8% dei triennali (con un lieve calo dello 0,8% rispetto al 2023) e l’89,7% dei magistrali (+1,5%). Il tasso di disoccupazione si attesta al 9,7% per i triennali e al 10,2% per i magistrali a un anno dal titolo, valori che scendono rispettivamente al 3,4% e al 4% dopo cinque anni.
L’analisi qualitativa dell’occupazione rivela miglioramenti significativi nella tipologia contrattuale. Tra i laureati occupati a un anno dal titolo, il 39,5% dei triennali e il 29,8% dei magistrali beneficia di un contratto a tempo indeterminato, con incrementi rispettivi del 4,6% e 3,3% rispetto al 2023. Parallelamente, cresce la quota di contratti formativi (15,3% per i triennali e 22,3% per i magistrali).
Le retribuzioni mostrano finalmente una inversione di tendenza dopo il calo degli anni precedenti. A un anno dalla laurea, lo stipendio medio netto mensile è di 1.492 euro per i triennali (+6,9% in termini reali rispetto al 2023) e 1.488 euro per i magistrali (+3,1%). A cinque anni dal titolo, queste cifre salgono a 1.770 euro per i triennali (+2,9%) e 1.847 euro per i magistrali (+3,6%).
Nonostante questi dati confortanti, il Rapporto AlmaLaurea 2025 suona un preoccupante campanello d’allarme riguardo alla fuga dei cervelli, fenomeno che continua a privare il Paese dei suoi migliori laureati. L’analisi rivela che il 4,1% dei laureati lavora all’estero già a un anno dal titolo, percentuale che sale al 4,6% dopo cinque anni.
Il fenomeno colpisce in misura maggiore gli uomini (4,7% a un anno, 5,6% a cinque anni) rispetto alle donne (3,7% e 3,8%) e interessa soprattutto i laureati con i migliori voti e i percorsi di studio più regolari. Le discipline più colpite sono quelle scientifiche e tecnologiche: il 5,6% dei laureati in Informatica e ICT lavora all’estero a un anno dalla laurea, quota che balza all’11,3% dopo cinque anni.
Le motivazioni di questa diaspora sono principalmente economiche. Le retribuzioni medie all’estero superano i 2.200 euro netti mensili a un anno dalla laurea (+54,2% rispetto all’Italia) e raggiungono i 2.900 euro a cinque anni (+61,7%). Questo divario retributivo, unito a migliori prospettive di carriera e a condizioni lavorative generalmente più favorevoli, continua a rendere l’estero una meta irresistibile per molti giovani talenti italiani.
Accanto al fenomeno della fuga dei cervelli, il Rapporto AlmaLaurea 2025 evidenzia altre criticità che riguardano sia il sistema universitario che quello produttivo. L’età media alla laurea, seppure diminuita rispetto a dieci anni fa (da 26,5 anni nel 2014 a 25,8 nel 2024), ha registrato un nuovo incremento di 0,2 anni rispetto al 2022.
La regolarità negli studi mostra un preoccupante peggioramento: solo il 58,7% dei laureati del 2024 ha concluso il percorso nei tempi previsti, con un ulteriore calo del 2,8% rispetto al 2023. Questo dato va letto in connessione con la fine delle misure straordinarie adottate durante la pandemia, che avevano temporaneamente inflazionato le percentuali di laureati “in corso”.
Per la prima volta, il Rapporto AlmaLaurea dedica un’attenzione specifica al fenomeno del mismatch tra competenze acquisite e lavoro svolto. L’analisi rivela che oltre il 30% dei laureati occupati a un anno dal titolo non utilizza in misura elevata quanto appreso all’università e svolge mansioni per cui la laurea non è formalmente richiesta.
A cinque anni dalla laurea, questa percentuale scende ma rimane comunque elevata, superando il 25% del totale. Questo dato suggerisce come il sistema produttivo italiano fatichi ancora a valorizzare appieno il capitale umano altamente qualificato, con evidenti ripercussioni sia sulla produttività che sulla soddisfazione professionale dei laureati.
Il Rapporto AlmaLaurea 2025 delinea dunque un quadro contraddittorio: da un lato, i dati occupazionali e retributivi mostrano segnali di ripresa dopo anni di difficoltà; dall’altro, persistono problemi strutturali che minano le prospettive di sviluppo del Paese.
La fuga dei cervelli, in particolare, rappresenta una doppia perdita per l’Italia: non solo il Paese si priva dei suoi talenti migliori, ma vede sfumare gli ingenti investimenti pubblici fatti per formarli. In un’era dominata dall’economia della conoscenza e dalla rivoluzione digitale, questa emorragia di competenze rischia di compromettere irrimediabilmente la competitività del sistema paese.
Allo stesso tempo, il persistente mismatch tra formazione e lavoro indica una preoccupante incapacità del sistema produttivo italiano di valorizzare le competenze avanzate. Se da un lato le università devono continuare a lavorare per avvicinare i propri percorsi formativi alle esigenze del mercato, dall’altro le imprese devono compiere uno sforzo maggiore per creare posizioni realmente in grado di valorizzare i titoli di studio superiori.
I dati AlmaLaurea dimostrano che l’Italia sa formare ottimi laureati, ma fatica a trattenerli e a valorizzarli. La sfida per i prossimi anni sarà trasformare questi talenti in volano per lo sviluppo, creando un ecosistema che sappia premiare il merito, offrire opportunità di crescita e garantire retribuzioni competitive. Solo così potremo invertire la rotta e costruire un futuro in cui studiare in Italia non sia solo un punto di partenza, ma anche una prospettiva di realizzazione professionale.
Marta Pennacchio