Nel nuovo appuntamento settimanale con Il Salotto di KreaNews, condotto da Francesco Russo, protagonista è Crescenzo Autieri: attore, regista, autore e anima della scuola di teatro di Caivano, un presidio culturale in un territorio spesso raccontato solo per le sue criticità. Con passione e lucidità, Autieri ci accompagna in un viaggio che parla di arte, sogni, responsabilità e rinascita.
Crescenzo, partiamo da un’esperienza che ti è particolarmente cara: la tua scuola di teatro a Caivano. Come nasce e perché proprio lì?
«Dopo un’esperienza a Roma con Elvio Porta, con cui ho collaborato alla scrittura di sceneggiature per la televisione, ho sentito il bisogno di tornare e dedicarmi completamente al teatro. C’era un sogno: creare una scuola, e perché non a Caivano? All’epoca sembrava un’eresia, ma oggi – dopo 18 anni – posso dire che quel sogno ha preso forma. I ragazzi avevano bisogno di uno spazio così, e la risposta che ho ricevuto è stata enorme.»
Nel tuo percorso c’è anche il progetto “Napoli Shoah”, che hai portato in scena a Caivano Arte. Che ricordo hai di quell’esperienza e di quel teatro?
«L’auditorium di Caivano era un punto di riferimento per chi voleva fare teatro. Purtroppo, con una gestione amministrativa disastrosa, anche il teatro ha chiuso. È stato un colpo durissimo, perché la cultura è stata tra le prime a pagare. Oggi si parla di ricostruzione: mi auguro davvero che si pensi a una gestione concreta, magari affidata anche a chi il teatro lo vive e lo conosce davvero.»
Quanto può fare la cultura in territori complessi come quello in cui vivi e lavori ogni giorno?
«Tantissimo. La cultura è senso critico, è consapevolezza. A teatro insegniamo ai ragazzi non solo a recitare, ma a pensare, a sognare. Crescono, imparano a conoscersi, si pongono degli obiettivi. Non vogliamo solo formare attori, ma persone. Il teatro aiuta a diventare uomini e donne consapevoli.»
Ci racconti com’è strutturata la tua scuola e cosa fanno concretamente i ragazzi che vi partecipano?
«Abbiamo percorsi per tutte le età, dai bambini agli adolescenti. I più piccoli fanno recitazione, canto corale e teatro danza. I più grandi lavorano su dizione, espressione corporea, ed esplorano i testi con strumenti professionali. Ma al centro di tutto c’è la consapevolezza: farli crescere come persone, indipendentemente dal fatto che diventino attori.»
Hai parlato di sogni. Che ruolo ha il sogno nella tua vita e in quella dei tuoi allievi?
«È fondamentale. Chi riesce a capire cosa vuole fare davvero nella vita è fortunato. Oggi i giovani sono bombardati da immagini e modelli lontani dalla realtà. Il teatro ti riporta all’essenza. Ti insegna che c’è bellezza anche nella fatica, che puoi lavorare venti ore al giorno e non sentirlo come un peso, se stai inseguendo il tuo sogno.»
Com’è cambiato il modo di fare didattica nel teatro con i ragazzi di oggi?
«È cambiato tutto. L’attenzione è più fragile, i tempi sono dilatati. Ma se riesci a coinvolgerli davvero, se li butti dentro il sogno, loro ti seguono. Lavoriamo tanto con improvvisazioni e con esercizi di immedesimazione. Li invitiamo a scrivere il passato del personaggio, a portare se stessi dentro le storie. Questo li fa crescere.»
Il teatro dovrebbe entrare stabilmente nelle scuole?
«Sì, ma va fatto seriamente. Purtroppo a volte si affidano progetti teatrali a chi non ha alcuna formazione. Il teatro nelle scuole è fondamentale, ma solo se affidato a professionisti. Può formare persone con coscienza, empatia, etica.»
Le luci della ribalta attraggono ancora? I tuoi allievi sognano la fama?
«Sì, molti iniziano pensando alla visibilità, ai social, al successo. Ma poi capiscono che fare teatro è un’altra cosa. Richiede fatica, studio, impegno. La recitazione è anche un lavoro fisico e psicologico. E quando comprendono il valore del mestiere, allora cambia tutto.»
Cosa si prova, da attore, nei momenti prima di andare in scena, dietro il sipario?
«È magia pura. Adoro ascoltare il chiacchiericcio elegante del pubblico prima dello spettacolo. È un suono che ti riempie, che ti dice: “Sei a teatro, questo è il tuo posto.” Ogni sera è diversa, ogni spettacolo è nuovo. È il bello del teatro.»
I tuoi testi hanno spesso una forte morale. Quanto lavoro c’è dietro una tua opera?
«Tanto. L’esperienza con Elvio Porta è stata decisiva. Ho imparato che prima dei dialoghi bisogna costruire una storia. Una struttura solida. Passo mesi sulla scaletta, sui ritmi, sulle pause. E quando si arriva alla scrittura vera, ogni parola è frutto di un percorso lungo e necessario.»
L’intelligenza artificiale potrà mai sostituire un cantastorie?
«Mai. Perché nel raccontare c’è empatia, emozione, cuore. Un autore vive i personaggi, li sente, li sogna. Questo non si può replicare artificialmente.»
Prossimi appuntamenti?
«A giugno torniamo al Teatro Burlesk di Caivano con lo spettacolo Gianmarico, una parola, una mia commedia che parla di disabilità. Le date sono: 20, 21, 22 e poi 27, 28, 29 giugno. Coinvolgeremo anche i ragazzi della scuola di teatro, perché è giusto che siano protagonisti del loro percorso.»
L’intervista completa è disponibile sul canale ufficiale Youtube di KreaNews. Il Salotto di KreaNews va in onda ogni mercoledì alle ore 18.55 su Telecapri – Canale 15 del Digitale Terrestre.