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Warren Buffett annuncia il suo addio alla finanza

Warren Buffett, il leggendario “Oracolo di Omaha”, ha annunciato la sua intenzione di cedere la guida di Berkshire Hathaway, il colosso finanziario da lui trasformato in un impero valutato oltre mille miliardi di dollari. A riportare la notizia è il Financial Times, che ha anticipato alcune dichiarazioni rilasciate durante l’assemblea annuale degli azionisti. Il 94enne, riconosciuto come il più influente investitore vivente, ha ufficializzato la successione di Greg Abel, già a capo delle divisioni non assicurative. “È giunto il momento per Greg di assumere il ruolo di amministratore delegato entro la fine dell’anno”, ha dichiarato Buffett, sottolineando l’importanza di una transizione ordinata.

Un passaggio storico

La decisione segna la fine di un’epoca senza precedenti nella finanza globale. Buffett, che ha preso le redini di Berkshire nel 1965 quando era ancora una piccola società tessile in difficoltà, l’ha plasmata in un gigante con partecipazioni in settori che vanno dalle assicurazioni all’energia, passando per alcuni dei brand più iconici al mondo, come Coca-Cola, Apple e American Express.

Abel, 61 anni, era stato indicato come erede già nel 2021, ma oggi il passaggio di consegne diventa ufficiale. Canadese di nascita, è noto per il suo approccio pragmatico e per aver gestito con successo le attività energetiche e industriali del gruppo. A differenza di Buffett, che ha sempre privilegiato un portafoglio concentrato su poche grandi scommesse, Abel potrebbe spingere verso una maggiore diversificazione, con un occhio di riguardo alle nuove tecnologie e alla transizione energetica.

Buffett e le crisi: “Niente Panico”

Proprio durante l’assemblea, Buffett ha voluto rassicurare gli investitori sulle recenti turbolenze dei mercati, minimizzando l’impatto delle oscillazioni azionarie delle ultime settimane. “In sessant’anni, le azioni Berkshire hanno perso il 50% del loro valore in tre occasioni diverse, e ogni volta si è trattato di un’opportunità, non di una catastrofe”, ha ricordato.

La prima grande prova fu nel 1973-74, quando il crollo dei mercati lo spinse ad acquistare il Washington Post, un investimento che si rivelò straordinario. Poi venne la bolla delle dot-com nel 2000, che Buffett evitò saggiamente, concentrandosi invece su settori tradizionali come le assicurazioni. Infine, la crisi del 2008, quando fu tra i pochi a intuire il disastro imminente, riducendo l’esposizione alle banche prima del crollo di Lehman Brothers.

“Se domani Berkshire perdesse metà del suo valore, non mi preoccuperei – anzi, ne approfitterei per comprare più azioni”, ha detto con la sua tipica calma. Una filosofia, quella del value investing, che ha fatto scuola: cercare aziende sottovalutate, con solidi fondamentali, e mantenerle per decenni, sfruttando il potere dell’interesse composto.

La guerra ai dazi e il declino degli utili

Non sono mancati, però, i toni critici verso le politiche commerciali degli ultimi anni. Berkshire ha registrato un calo del 14% degli utili operativi nel primo trimestre del 2025, toccando 9,64 miliardi di dollari, con oltre 700 milioni di perdite legate alle fluttuazioni valutarie e all’impatto dei dazi.

“Il commercio non dovrebbe essere usato come un’arma”, ha affermato Buffett, schierandosi implicitamente contro le politiche protezionistiche. “La prosperità globale avvantaggia tutti, non solo alcuni”. Una posizione condivisa da altri big della finanza, come Jamie Dimon (CEO di JPMorgan) e Bill Ackman (fondatore di Pershing Square), che da tempo mettono in guardia contro i rischi di un’eccessiva frammentazione dei mercati.

Chi era Buffett Prima del mito?

La leggenda di Warren Buffett inizia dove finiscono le storie degli investitori comuni. Mentre il Wall Street Journal oggi scrive che “non ci sarà mai un altro Warren Buffett”, per comprendere la grandezza dell’Oracolo di Omaha bisogna tornare alle radici del suo mito: un ragazzino del Nebraska che trasformò l’ossessione per i numeri nella più straordinaria macchina da investimenti della storia.

Era il marzo 1942 quando un undicenne Buffett comprò le sue prime tre azioni: Cities Service a 38 dollari ciascuna. Il titolo crollò a 27 dollari, poi risalì a 40. Il giovane Warren vendé, pensando di aver fatto un affare, solo per vedere il titolo schizzare a 200 dollari. Fu la lezione più importante: “I mercati trasferiscono ricchezza dagli impazienti ai pazienti”, avrebbe detto decenni dopo. Quell’errore gli insegnò il valore del tempo – l’ingrediente segreto del compounding che poi avrebbe moltiplicato la sua fortuna.

Dopo la laurea in Economia, il rifiuto di Harvard (“Mi dissero che ero troppo giovane”) si rivelò una benedizione. Alla Columbia incontrò Benjamin Graham, autore de “L’investitore intelligente” e padre del value investing. Fu una rivelazione: Graham gli insegnò a cercare “cenerentole” finanziarie – azioni sottovalutate con solidi fondamentali. Buffett non solo assimilò la lezione, ma la superò: dove Graham comprava per vendere dopo il rialzo, Warren intuì che i veri guadagni arrivano tenendo le aziende eccellenti per decenni.

Mentre iniziava a costruire il suo impero, Buffett acquistò una modesta abitazione a Omaha per 31.500 dollari. Vi vive ancora oggi, simbolo di un paradosso: l’uomo che poteva comprarsi interi quartieri scelse la frugalità. Qui forgiava le sue strategie, lontano dal rumore di Wall Street, circondato solo da manuali finanziari e report aziendali. Rifiutò persino un computer fino al 1994 (“Preferisco i documenti cartacei”), dimostrando che il successo nasce dalla sostanza, non dagli strumenti.

1962, la svolta con Berkshire Hathaway
Quell’anno sembrava un altro affare qualunque. Warren Buffett, allora trentaduenne, rilevò per 7,50 dollari ad azione una azienda tessile morente di New Bedford, Massachusetts: La Berkshire Hathaway. Nessun analista avrebbe scommesso un centesimo su quel relitto industriale. Eppure, in quel gesto apparentemente insensato, si nascondeva il colpo di genio che avrebbe riscritto le regole del capitalismo.

Buffett non aveva visto un futuro nel cotone, era andato oltre e aveva intravisto qualcosa di più prezioso: una vera e propria macchina per fare soldi. Trasformò quella azienda in piena crisi in un veicolo d’investimento unico, il cui vero valore stava nella struttura fiscale e nei flussi di cassa che gli permisero di acquisire ciò che realmente contava:

  • Geico (1967), il cui modello “direct-to-consumer” rivoluzionò le assicurazioni
  • See’s Candies (1972), dove una scatola di cioccolatini valeva più dell’oro
  • Dairy Queen (1997), il tempio americano del comfort food

Era la concretizzazione della sua massima più celebre: “È meglio comprare una società meravigliosa a un prezzo buono, che una società buona a un prezzo meraviglioso”. Mentre la Nasdaq impazziva per le dot-com, Buffett costruiva silenziosamente un impero di “monopolisti gentili” – aziende così radicate nella cultura americana da essere immuni alla concorrenza.

Quel modesto acquisto da 7,50 dollari vale oggi più di 700.000 dollari per azione, cifra che la rende una delle azioni più costose al mondo. Ma il vero miracolo non è nella valutazione: è nell’aver dimostrato che il vero investing non è seguire il mercato, ma anticipare ciò che il mercato un giorno avrebbe capito.

L’Ultima Lezione dell’Oracolo

Prima di concludere, Buffett ha lasciato un’ultima riflessione: “Tra trent’anni, l’economia americana sarà più forte che mai. Ma solo chi sa distinguere il valore dal prezzo sopravviverà alla tempesta”.

Con queste parole, si chiude un capitolo unico nella storia della finanza. Ma la leggenda di Buffett, come i suoi investimenti, è costruita per durare in eterno.

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